Il mistero di Luigi Carlo

XVI, nacque nel 1785 a Parigi, fu soprannominato nel 1789 “delfino” di Francia dopo la prematura morte del fratello maggiore Luigi Giuseppe. Ebbe un’ infanzia per lo più spensierata e felice alla corte di Versailles; uno dei suoi hobby preferiti era coltivare fiori nel suo piccolo orticello su una delle terrazze della reggia. Luigi fu il figlio preferito della regina la quale lo soprannominò “mon chou d’amour”, nonostante non fosse stato educato direttamente dalla madre, obbediva ad ogni cosa che la regina gli diceva di fare, nonostante il suo carattere orgoglioso e vivace. Così lo ritraeva Maria Antonietta, all’età di quattro anni, nel 1789: “fedele, ma indiscreto; il suo difetto più grave è di ripetere facilmente quel che gli altri dicono, spesso aggiungendovi, senza per questo voler mentire, ciò che la sua immaginazione gli suggerisce”

La vita del piccolo principe viene sconvolta prima dalla morte del fratello, che come conseguenza gli conferì indirettamente il titolo di futuro regnante di Francia, ma anche dallo scoppio della Rivoluzione la quale cambiò radicalmente la sua vita. E’ nel 1792 che i veri problemi iniziano ad incombere, la famiglia reale viene arrestata il 10 agosto, a dicembre si ha la condanna del padre, la ghigliottina verrà il mese dopo. Una volta ucciso il re, il giovane principe viene portato via dalla madre, la quale verrà giustiziata ad ottobre, è qua che inizia il suo personale inferno ed il mistero.

Nonostante le numerose fonti sul periodo più favorevole di Luigi Carlo, sono poche e divergenti quelle relative alla sua prigionia e morte; questo spiegherebbe la formazione di miti e leggende sorte dopo la sua scomparsa . Essendo morto il padre, teoricamente era Luigi Carlo il legittimo erede al trono, questo dettaglio lo rese una persona pericolosa agli occhi dei rivoluzionari, ecco spiegata la prigionia separata dalla madre. Fu rinchiuso nel Tempio, il Comitato di salute pubblica, volle “rieducare” il giovane principe, dandogli come “precettore” il ciabattino Simon il quale abbrutirà l’erede al trono di Francia insegnandogli a bestemmiare, a pronunciare parolacce e a cantare canzoni oscene. Lo farà ubriacare, lo corromperà facendolo iniziare da prostitute, fino a indurlo a testimoniare contro sua madre e sua zia con l’accusa infame di aver intrattenuto relazioni incestuose con lui. Questo bieco individuo spingerà il povero bambino a inneggiare alla Rivoluzione, alla decapitazione di suo padre e di sua madre, punendolo quando lo scopre di notte a pregare da solo nella sua cella.

Si dice che Luigi morì di tubercolosi nel 1795 all’età di dieci anni. La presunta morte del giovane fece circolare diverse voci tra il popolo il quale credeva che il giovane fosse stato ucciso dalle sue guardie oppure, fatto ancora più bizzarro, che egli fosse scappato grazie all’aiuto dei nobili. Queste speculazioni provocarono, una volta restaurata la monarchia nel 1814, centinaia di pretendenti al trono i quali asserivano di essere il principe Luigi Carlo, uno di questi fu Karl Wilhelm Naurdorff, un orologiaio tedesco, il quale, nonostante parlasse male il francese, sapeva molti dettagli nella vita di tutti i giorni nella reggia di Versailles; addirittura dopo qualche tempo cambiò il suo nome in Luigi Carlo Borbone, tuttora i suoi discendenti usano questo cognome .

Quello che le varie storie spesso tacciono è il fatto che, dopo la morte, il cuore del principe Luigi venne asportato, da un medico, il quale credeva fortemente nella monarchia, questi lo conservò in alcool e lo espose in casa propria . L’organo fu per molto tempo oggetto di scambio, infine finì in una chiesa parigina conservato in un contenitore di cristallo, nel 1999 si decise di fare il test del DNA per risolvere questo mistero. Il DNA del cuore fu comparato a quello di un capello della regina Maria Antonietta , fu così dimostrata una stretta parentela. In conclusione, sappiamo oggi con certezza che purtroppo il giovane Luigi Carlo morì veramente in una cella buia e sporca, solo, senza aver potuto salutare la madre e la sorella per un’ ultima volta.

di Adelina Onofreiciuc - impaginato da Benedetta Iebole